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I MIGRANTI CHE HANNO FATTO LA STORIA: SVETLANA ALEKSIEVIC
Svetlana Aleksievic, è nata il 31 maggio del 1948 nella città ucraina di Ivano-Frankivsk (un tempo Stanislav), da padre bielorusso e madre ucraina. Ha lavorato come insegnante di storia, dopo la laurea all’Università di Minsk tra il 1967 e il 1972. Iniziò la sua carriera come giornalista per una testata locale di Brest, vicino al confine polacco, allontanata dai centri di potere a causa delle sue posizioni di opposizione nei confronti del governo. Nel 1976 ritornò a Minsk , dove trovò impiego per la rivista letteraria Neman. Nel corso degli anni sentì l’esigenza di scavare all’interno dei lati più oscuri della storia del suo Paese, denunciando i danni che le guerre avevano lasciato sia sul campo che nella psicologia delle persone.
Svetlana Aleksievic ha Investigato i principali eventi della fase finale dell’Unione Sovietica e del suo dissolvimento, dalla guerra in Afghanistan al disastro di Cernobyl, occupandosi di numerose vicende controverse, suscitando scalpore con reportage e libri.
Il suo lavoro è frutto di migliaia di interviste a testimoni, persone che ha incontrato personalmente nel corso degli anni e di cui ha condiviso tragedie e sofferenza trasponendo in letteratura il loro fardello, il loro drammatico carico di esperienza.
Nel 1985 ha pubblicato il suo primo libro “La guerra non ha un volto di donna”, per il quale ha intervistato centinaia di donne che avevano combattuto con l’Armata Rossa tra il 1941 ed il 1945. La loro testimonianza rappresentava qualcosa di inedito: alcune erano adolescenti all’epoca; avevano prestato servizio al fronte come cecchini, autiste e pioniere. Il successivo progetto di Svetlana fu “Ragazzi di zinco”, pubblicato nel 1991, che comprendeva interviste ai soldati ritornati dal fallimentare fronte sovietico nella guerra in Afghanistan, alle loro mogli e madri. Il titolo si riferiva alle bare di zinco utilizzate per riportare in patria i caduti, morti mentre compivano “il loro dovere internazionale”. Le reclute descrissero come fossero state ingannate, molti erano convinti che sarebbero andati in Kazakistan, mentre altri ingenuamente si arruolarono come volontari. Coloro che sopravvissero diventarono una “generazione persa”.
Svetlana Aleksievic ha dato voce ai sopravvissuti, agli spettatori e ai reduci degli orrori. Nel 2000 è stata costretta a lasciare il suo Paese d’origine perché secondo il regime bielorusso era una spia della CIA. Svetlana Aleksievic, nei premio Nobel per la letteratura, ha vissuto in Toscana per due anni. La scrittrice bielorussa ha vissuto a Pontedera dal 2000 al 2002 nell’ambito di un progetto internazionale di accoglienza e sostegno a scrittori e intellettuali perseguitati nei Paesi di origine. Ha vissuto a Parigi, Goteborg e Berlino, per poi ritornare nel 2011 a Minsk.
Nel 2015 l’Accademia Svedese ha conferito alla Aleksievic il Premio Nobel per la Letteratura “per la sua opera polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo”. Per molti anni i suoi libri sono stati portati in Bielorussia dalla Russia e venduti sul mercato nero poiché banditi dallo Stato. Attualmente le opere della Aleksievic sono tradotte in più di quaranta lingue.
La Bielorussia resta un regime basato su un “sistema di permessi”, che criminalizza ogni attività pubblica di un cittadino che non sia stata precedentemente autorizzata, ed è l’ultimo Paese europeo ad applicare la pena di morte (quattro esecuzioni nel 2016). Benché uno spiraglio si sia aperto con la pubblicazione del primo piano d’azione nazionale sui diritti umani, nessuno dei 100 punti in programma affronta il tema delle libertà civili e politiche. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera lo scorso aprile la Aleksievic ha dichiarato:
“Per me il testimone è il primo eroe della letteratura. Mi dicono che i ricordi non sono storia e neanche letteratura. [..] Però per me non è così. Proprio lì nella viva voce della persona, nel vivo riflesso della realtà si nasconde il mistero della nostra presenza qui, e si apre la tragedia della vita. Il suo caso è la passione. L’unicità e l’imperscrutabilità.”